Un volo di storni per due

Una doppia recensione all’ultimo libro di Giorgi Parisi

di Isabel Bianchi (1) e Thomas Paolinelli (2)

1) Avete presente la sensazione che si prova sulle montagne russe? Un sentimento di adrenalina misto ad impazienza dovuto al fatto che non sappiamo cosa ci aspetta dopo una salita, una discesa o una curva. Se avete mai provato quella meravigliosa sensazione e volete riviverla, o se siete un po’ “fifoni” per salire sull’attrazione, ma comunque troppo curiosi di vivere un’esperienza così intrigante, dovreste leggere “In un volo di storni”. Leggendo il libro vi ritrovereste catapultati sull’ottovolante di Giorgio Parisi, classe 1948, vincitore del premio Nobel per la Fisica nel 2021 “per i contributi innovativi alla comprensione dei sistemi fisici complessi”, padre di due figli e marito di Daniella Ambrosino, a cui il libro è dedicato. Leggi tutto “Un volo di storni per due”

Te ne sei andato via Enea

di Silvia Barsotti

Mi ricordo di quando sei sbarcato a Cartagine, nella mia patria, la terra che fondai dopo essere fuggita da mio fratello, colui che uccise mio marito. Quando vi arrivai, mi trovai disorientata, non ero da sola, ma in un certo senso era come se lo fossi; non mi fidavo di loro, quegli uomini che si erano lasciati corrompere soltanto alla visione di donne e oro: avevano già voltato le spalle a mio fratello, avrebbero potuto fare la stessa cosa con me. Decisi che avrei dovuto dare vita ad una nuova città; insieme a colui a cui avevo donato il mio cuore, mi era stato portato via tutto: la mia patria, la cosa a me più cara. Leggi tutto “Te ne sei andato via Enea”

Grand Jeté verso la scrittura

Un’intervista a Leonetta Bentivoglio a cura di Federica Evangelisti

 

Ho intervistato Leonetta Bentivoglio, scrittrice e giornalista italiana che ha avuto nel suo passato esperienze di danzatrice e coreografa. È stata storico della danza e autrice di volumi sulla danza contemporanea e sul teatrodanza di Pina Bausch. Ha collaborato con diverse testate e scrive dagli anni Ottanta sulle pagine di Cultura e Spettacoli del quotidiano La Repubblica. Per alcuni anni ha fatto il critico di danza. Attualmente si occupa soprattutto di musica classica e di letteratura con interviste e recensioni.

 

1) Come mai ha scelto di fare la giornalista e soprattutto, all’inizio del suo percorso, di focalizzarsi sulla danza?

“Voglio chiarire subito una cosa: oggi non lavoro più nell’ambito della danza. Ma è vero che ho iniziato il mio itinerario professionale come storico e critico di danza. Ho seguito sempre, fin da ragazzina, le arti dal vivo: musica, danza e teatro. Parallelamente ho sempre amato moltissimo scrivere.

Mi sono laureata in Filosofia negli ultimi anni Settanta, e mentre stavo all’Università ho cominciato a collaborare con “Il Manifesto”.

Io stessa studiavo danza. Durante la mia giovinezza ho frequentato classi quotidiane di danza contemporanea e sono stata attratta soprattutto dai linguaggi del Novecento, secolo lungo il quale sono nate nuove tecniche e nuovi stili alternativi al balletto classico-accademico. Il fatto di scrivere sulla danza coniugava le mie due maggiori passioni.

Dopo la laurea in Filosofia, presa a Roma, sono andata negli Stati Uniti dove ho coltivato molto il mio interesse per la danza contemporanea. Ho trascorso un periodo piuttosto lungo a New York studiando in prima persona le tecniche di Martha Graham e di Merce Cunningham, due tra i massimi coreografi americani del ventesimo secolo. Ho scritto un libro, “La Danza Moderna”, pubblicato da Longanesi, che poi, negli anni Ottanta, è stato rivisto, ampliato e riproposto dallo stesso editore con un altro titolo, “La Danza Contemporanea”. Si trattava dell’unico libro esistente sui linguaggi emersi nel Novecento, ed ebbe una certa diffusione. Grazie al suo piccolo successo, ho iniziato a collaborare con “L’Espresso” per poi passare a “Repubblica”.

Ciò che mi preme segnalare è che mi sono dedicata al lavoro di critico di danza, in maniera intensa e a tempo pieno, soltanto fino agli anni Novanta. Dopo sono stata assunta nella redazione culturale della “Repubblica”, dove scrivo da decenni. Anche adesso che sono in pensione, continuo a lavorare per “Repubblica” come collaboratrice esterna. Per molto tempo ho lavorato all’interno della redazione, e ovviamente, stando dentro un giornale, non ci si può occupare soltanto di danza. Mi sono quindi dedicata pure ad altri settori, approfondendo quelli che erano già i miei interessi. Avevo seguito e anche studiato la musica, ed ero stata sempre una fortissima lettrice di romanzi. Da vari anni, ormai, mi occupo giornalisticamente di musica classica, di lirica e di letteratura. Credo di potermi definire una giornalista culturale. Leggi tutto “Grand Jeté verso la scrittura”

Il mondo della traduzione raccontato da Isabella Blum

Un’intervista alla traduttrice italiana di alcune opere di Oliver Sacks e di altri autori.

A cura di Silvia Barsotti

 

Silvia Barsotti – Per prima cosa vorrei chiederle in quale modo ha deciso di avvicinarsi al mondo della traduzione, so che è un ambito molto sottovalutato, al quale non viene data l’importanza che a parer mio gli spetterebbe. Proprio per questo sono curiosa di cosa la abbia spinta ad entrare a farne parte, se è stata consigliata o indotta da qualcuno o se l’ha fatto di sua spontanea volontà.

Isabella Blum – Domanda interessante, entriamo subito nel vivo. In che misura l’immagine di una professione, il suo «prestigio» percepito, attira le persone, le spinge ad avventurarcisi? Dalla mia attuale prospettiva, a posteriori, quell’immagine non dovrebbe contare affatto. A spingerti a imboccare una strada dovrebbe essere quanto quella strada effettivamente ti attrae, quanto ti interessa. Ti piace fare X? E allora fallo. Provaci. E comunque, se io avessi effettuato la mia scelta affidandomi anche a una valutazione del «prestigio», non avrei avuto alcuna esitazione. In casa, da bambina, ho sempre sentito parlare di traduzione come di un’attività di alto profilo, importante, interessante. C’era una carissima amica di mio padre e mia madre che era un’importante traduttrice di romanzi. Quindi sono cresciuta vedendo lei, il suo mondo, il suo lavoro – e di conseguenza il tradurre libri in generale – come un’attività bella, importante, attraente. La consapevolezza che invece, in alcuni ambiti, la percezione del tradurre fosse diversa, diciamo più problematica, l’ho avuta dopo, quando avevo già cominciato a lavorare. Dall’interno, e non dall’esterno.

Resta da dire come sono entrata in quel mondo. All’università io ho studiato biologia, mi stavo preparando per una carriera da ricercatrice. La mia idea sarebbe stata, all’epoca, di restare a lavorare all’università, ma era un momento in cui gli spiragli per i giovani in ambito accademico erano veramente prossimi a zero. E siccome io avevo bisogno di lavorare, feci domanda per essere assunta in una casa farmaceutica. Mi fissarono un colloquio, andò bene e mi presero a lavorare con loro: non nel settore ricerca, però, bensì in quello della produzione dei testi scientifici relativi ai prodotti dell’azienda. In pratica, mi occupavo per otto ore al giorno di traduzioni e scrittura (sono stati anni in cui ho imparato moltissimo, sia sul piano scientifico, sia su quello della comunicazione e della scrittura/traduzione). E così sono entrata in quel mondo: il mondo di una traduzione scientifica molto tecnica. Poi da lì mi sono spostata verso il campo editoriale, e verso tipologie di testi ugualmente densi, ugualmente ricchi di scienza, ma di tutt’altra natura – la saggistica scientifica.  Ed è stato un gran bel colpo di fulmine. Leggi tutto “Il mondo della traduzione raccontato da Isabella Blum”