Di Alice Da Prato
Amy March, da molti conosciuta con il volto di Florence Pugh, è un personaggio primario del romanzo divenuto poi film, Piccole donne di Louisa May Alcott.
Prima della rappresentazione cinematografica del romanzo dell’Alcott, molti consideravano Amy March l’antagonista della storia, una ragazzina che fin dai primi anni dell’infanzia si dimostra viziata e permalosa, che arriva persino a bruciare il romanzo di sua sorella Jo per una stupida ripicca.
E diciamoci la verità, a molti non va giù il fatto che sia stata proprio lei a sposare il bel vicino di casa Laurie, al posto della sorella maggiore Jo, con la quale il ragazzo aveva avuto una storia in passato.
Insomma, descritta in questo modo la piccola Amy sembra proprio avere tutte le carte per essere odiata.
Ammetto che, da vera fan di Amy che si riflette perfettamente nel personaggio già solo dalla lettura dei primi capitoli del romanzo, leggere e sentire in giro tali crudeltà nei confronti della piccola pittrice mi ha un po’ sconvolto.
Il mio umore si è però risollevato quando, in successione all’uscita del film del 2019, probabilmente per la scelta dell’attrice – un volto molto conosciuto dai giovani soprattutto negli ultimi anni – l’opinione pubblica riguardo il personaggio di Amy si è notevolmente modificata.
Molte ragazzine, alla vista della commovente storia delle sorelle March, hanno rivisto in Amy ciò che io avevo visto in lei anni fa, un riflesso, un personaggio così detto “comfort character”, ovvero qualcuno in cui rivedersi. Ritrovandosi così ad avere molti più seguaci della sorella Jo, da sempre amata e vista da tutti come un’eroina dell’indipendenza femminile
A far sì che l’opinione su Amy si ribaltasse in questo modo ci sono vari fattori, primo fra tutti l’accessibilità del cinema rispetto a quella di un libro: il mondo d’oggi è molto più attratto dalle immagini anziché da alcune scritte che possano formare nella tua mente un immaginario personale, inoltre il nostro modo di vedere i fatti è completamente diverso da quello del periodo in cui uscì il romanzo, che ricordiamo era il 1868. Un tempo i valori di Jo erano visti rivoluzionari, e una ragazza con la mentalità di Amy rappresentava il nemico per la rivoluzione femminista, soprattutto per le sue idee sul matrimonio, da lei definito una questione di soldi anziché di amore.
Nella società d’oggi è maggiormente apprezzabile il coraggio di una ragazza ormai divenuta donna come Amy, che accetta il periodo in cui si trova e i suoi ideali per cercare di vivere la sua vita al meglio delle potenzialità. Oggi non cerchiamo eroi con un costante bisogno di scappare, e di certo non abbiamo bisogno di una Jo, che ci sproni a non sposarci come se il nostro sogno, diverso dal suo, sia sbagliato (come essa aveva fatto con sua sorella Meg prima del matrimonio).
Insomma, l’adattamento cinematografico del romanzo di piccole donne ci ha avvicinato ancora di più al mondo della piccola Amy, e ci ha fatto leggere il suo personaggio sotto una chiave diversa, merito che spetta anche alla regista Greta Gerwig che ha trovato lo spazio necessario per far sì che il suo personaggio sbocciasse al meglio, tramite appositi monologhi espressi con la notevole capacità interpretativa di Florence Pugh e le bellissime parole della scrittrice da cui il film prende spunto.
Una fra tutti, colpisce molto la scena in Florence, nei panni della nostra piccola donna, si confida con Laurie sul matrimonio, e su come lei, donna e povera, non possa fare altro che considerarla una questione di soldi e non propriamente d’amore, come invece ritengono i poeti.
“Io non sono un poeta, sono solo una donna . E in quanto donna, non posso guadagnarmi i miei soldi da sola. Non abbastanza per mantenermi da vivere o per sfamare la mia famiglia, e se avessi soldi miei, cosa che non ho, quei soldi apparterrebbero a mio marito nel momento in cui ci sposassimo. E se avessimo figli, sarebbero i suoi, non i miei. Sarebbero di sua proprietà, quindi non startene lì a dirmi che il matrimonio non è una questione economica, perché lo è. Potrebbe non essere per te, ma sicuramente lo è per me. ”
Queste parole, purtroppo in alcuni casi ancora attualissime, hanno fatto sì che il cuore delle persone si aprisse verso il suo personaggio, hanno dunque giustificato il comportamento di una ragazza che veniva definita viziata, e che invece si è solo trovata ad avere il peso della famiglia sulle spalle (dopo la morte della sorella minore Beth, il matrimonio della maggiore Meg e la fuga a New York di sua sorella Jo che da sempre aveva espresso pareri negativi riguardo il matrimonio, Amy era vista come l’ancora di salvezza della famiglia, dunque come l’ultimo appiglio per non cadere in bancarotta – difficile pensare che ci sia posto per i suoi sogni adesso).
Amy, viaggiando in Europa con sua zia e decidendo di sostituire ai suoi sogni la continua ricerca della ricchezza per promettere un futuro alla sua famiglia, si ritrova a svolgere il ruolo di eroina, un tipo di eroicità però, che al tempo della pubblicazione del romanzo non poteva essere capita, e che oggi, dopo quasi 200 anni, è apprezzata più che mai.