di Francesco Andolfi*
Frenesia. Una brama smaniosa e irragionevole. Il suo oggetto? Tutto. È la spada di Damocle che pende sulle teste delle nuove generazioni. È l’erronea consapevolezza del mondo, che chiunque può credere di avere grazie ad internet e che ci lascia in eredità la fame. Quell’avidità nella crescita, quella cupidigia di voler fare tutto, subito.
Quest’emergenza però ha cambiato qualcosa, perché quella consapevolezza che ci illudevamo di avere del mondo era irreale. Magari c’è chi ha sempre dato peso ai problemi di chi sta male veramente, ma provarli sulla propria pelle è un’altra cosa. Eppure non è questo che volevamo? Non era essere grandi? Non era fare parte della storia? Non era avere un’idea di cosa accade nel mondo?
E ora, se crediamo che questo sacrificio di stare in casa possa risolvere tutto, stiamo commettendo nuovamente lo stesso errore, ci stiamo illudendo un’altra volta. Come dopo un terremoto c’è da ricostruire le case, dopo il coronavirus dovremo fare sforzi ben maggiori di quelli che facciamo adesso.
La ricomposizione di un tessuto sociale danneggiato e la crisi economica che stiamo per affrontare saranno i due lasciti principali di questa emergenza. La situazione potrebbe tranquillamente essere molto peggiore di adesso. Dato che dovremo fronteggiare questioni ancora più grandi, quella frenesia che prima potevamo scatenare dovrà restare per forza di cose bloccata tra quattro mura. Quindi, potremmo fare una cosa inusuale, potremmo riflettere.
Iniziamo a programmare chi vogliamo essere quando usciremo di casa, cominciamo a decidere come vogliamo vivere la nostra età. Un domani saremo obbligati ad aiutare la rinascita della nostra società, abbiamo il dovere di decidere come. Perché è anche quella un’illusione: credere che l’unione tra noi ragazzi non possa dare alcun effetto. Però dobbiamo cambiare noi in primis, se vogliamo un cambiamento nel mondo.
Il coronavirus è una occasione irripetibile di crescere veramente, di iniziare a farsi prendere sul serio, di guardare in faccia chi crede che siamo “solo dei ragazzini” e fargli vedere che abbiamo il coraggio di affrontare i doveri che crescere comporta. Quindi esercitiamoci a evolvere singolarmente per contribuire al miglioramento della collettività. Gambe in spalla, informiamoci, studiamo, affiniamo ciò in cui siamo bravi, progrediamo in ciò in cui non lo siamo. Creiamo e creiamoci perché tra le sensazioni più belle della vita c’è la soddisfazione di essere diventati quello che volevamo diventare.
Ricordiamoci che alla fine andrà tutto bene, ma se tutto non andrà bene significa che non sarà ancora la fine.
*Francesco Andolfi, ex studente 5^SB anno 2018/2019 liceo A.Vallisneri, al momento studente all’università di Pisa alla facoltà di Informatica Umanistica