Il mare negli occhi è un poema silenzioso4 min read

 

di Alessandro Rosati

La notte è piombata, come una scure, su un giorno lungo. In lontananza lampi illuminano silenziosi tutto attorno. È l’ennesimo temporale in pochi giorni: segno che Estate si sta trascinando stancamente verso il suo epilogo.

Sulle spalle porta un vecchio bagaglio carico di memorie, stipate alla rinfusa nel vano tentativo di non dimenticarne neanche una. Impresa ardua. Sottobraccio, invece, un album di foto. È pieno zeppo di momenti strappati all’oblio della dimenticanza. Ci sono immagini che odorano di alghe spiaggiate, altre lunghe come notti felici e insonni, altre ancora che suonano le onde del mare come arpe invisibili.

Tra tutte ne spunta una, la più bella, riposizionata forse nella fretta. Sembra quasi che lei, Estate, l’abbia guardata un’ultima volta prima di incamminarsi per la sua strada del non ritorno. Bisogna immaginarsela, mentre la rigira tra le dita, la osserva, ci gioca. Pare che non la voglia lasciare andare, come se la volesse bloccare in un presente incerto, piuttosto che in una memoria sicura. Però ci sono storie che valgono l’attimo di un lampo, il tempo di un tramonto, l’infrangersi di un’onda: inutile provare a fermarle. Almeno, così deve aver pensato Estate, abituata com’è alla sua condizione effimera. Così deve aver riflettuto, mentre si decideva a riporre meticolosamente quella foto che adesso spunta dall’album.

Sono occhi di donna. Occhi giovani, di un azzurro intensissimo. Ricordano il mare. Sai che novità, potrebbe dire qualcuno. Eppure negli occhi delle persone, delle donne in particolare, non c’è mai niente di banale. Ogni sguardo racconta di un mondo tutto suo, inspiegabile ad altri se non per pochi e limitati sprazzi: attimi (ma solo attimi!) in cui provano a rivelare loro stessi. Dev’essere una bella fregatura avere un universo dentro e non saperlo raccontare. Un po’ come il mare, stupendo ma sconosciuto.

Ecco quegli occhi azzurri ricordavano, appunto, il mare. Non uno qualsiasi, ma uno di quelli limpidissimi e cristallini, che solo a guardarli trasmettono una serenità infinita. Lingue di sabbia fine vengono interrotte da piccoli promontori che si tuffano in acqua. Dietro solo vegetazione; davanti una tavola blu, tagliata da qualche piccola imbarcazione. Tutt’intorno nessuno. Pace.

Immaginateveli così quegli occhi: avevano un piccolo mondo incastonato tra l’iride e la pupilla, perfettamente armonioso, esattamente come le graziosissime sfere di vetro che ci regaliamo per Natale.

Avete presente, no? Quante volte abbiamo tenuto tra le mani quei microscopici universi, osservandoli attentamente come oggetti del desiderio? E magari ci vorremmo anche vivere, lo abbiamo pensato, ma a starci dentro ci accorgeremmo che anche lì è tutto fastidiosamente imperfetto. Allo stesso modo è per gli occhi. Dannatamente perfetti, finché non provi a capirli.

Poi ci sono gli sguardi. Già, perché se gli occhi sono corpo, gli sguardi sono anima. E quelle due iridi turchesi ne avevano uno affettuosamente tagliente. Si muovevano a rapidi tocchi, scrutando qua e là la realtà circostante, come a volerne carpire ogni singolo dettaglio. Uno sguardo vivissimo insomma. Eppure, ad un’analisi più attenta, ci si poteva accorgere che dietro a quell’iperattività delle cornee scaltramente si celava una dolcezza d’animo. Un miele gentile da scovare dietro ad un ordinato (e ben protetto) alveare.

E in quello sguardo ci si poteva perdere: ore e ore a seguire le strane tele che era in grado di tessere. Quante cose si possono capire dagli occhi della gente. Sembrano poco eppure parlano più di mille lettere: poemi silenziosi al seguito dei cuori più sensibili.

Crack. Cosa è stato? Nel suo cammino Estate deve aver calpestato qualcosa. Forse un ramo, o forse una di quelle chiocciole che spuntano, non si sa bene da dove (e anche questo è un mistero!), nelle lunghe e umide notti d’agosto. Alza gli occhi al cielo, Estate. L’imbrunire ha lasciato il posto a mille stelle.

D’un tratto si ferma, come colta da un pensiero improvviso. Dalla tasca ricava una piccola penna, prende la foto dall’album, la guarda ancora una volta e la gira.

Scrive “Agli occhi che abbiamo capito, e che non abbiamo potuto fermare”.

In fondo l’essenza dell’estate è tutta qui. In quella fugacità che pare una condanna, eppure è uno splendido dono. In quelle storie scritte a metà, tra l’acqua salata e notti infinite. In quegli attimi rubati di nascosto al Tempo. Nella nostalgia di chi sembra averti compreso.

E in un paio di occhi di donna, monumenti a quell’intramontabile leitmotiv che ci ricorda, ogni dannata volta, di ciò che poteva essere e non è stato.

 

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