di Alice Da Prato
Già dalla presentazione del frontespizio di Francesco Gonin, Don Abbondio ci viene rappresentato in parte opposta a Don Rodrigo, lasciandoci intuire che anch’egli rappresenterà un personaggio antagonistico nella vicenda.
Manzoni si concentra molto sul dualismo nel suo romanzo, tipica corrente filosofica del suo periodo storico. Egli si concentra molto sul concetto di bene e male che divide l’anima di ognuno di noi, ciò si evince anche nei personaggi di Renzo e Lucia, i quali sono destinati a completarsi a vicenda nella loro parte di bene e male.
Don Abbondio, invece, ha paura, e la paura non può mai portare al bene. Egli è abituato a non prendere posizione, e se è vero che, per citare il famoso cantautore Giorgio Gaber “la libertà è partecipazione”, intuiamo che le scelte del curato lo porteranno a dover sempre dipendere da qualcuno, o per meglio dire, da qualcosa: il potere.
Il suo carattere non lungimirante di certo non lo aiuta nel prendere la giusta decisione, e il periodo storico oppressivo e di censura verso chiunque cercasse di ribellarsi al governo spagnolo, in aggiunta la suo temperamento pavido, non lo portano molto lontano. È perciò giustificato? Tutta quest’aura di compassione che ruota intorno a questo personaggio può essere scambiata come un buon appiglio per giustificare le sue azioni, quando difatti è solo una spiegazione delle circostanze, le quali, ahimè, non costringono nessuno ad inchinarsi al male come Don Abbondio fece appena udito il nome di Don Rodrigo.
Ma Manzoni, anche aiutandosi con la capillare decscrizione del curato, esce dal concetto di personaggio, e ci presenta un’immagine che non è niente altro che il riflesso della nostra società umoristica, pronta a ridere di un uomo che non agisce molto meglio di come avremmo fatto noi nei suoi panni. E ai pochi che analizzano il personaggio con uno sguardo profondo, viene riservato un sorriso nell’amara consolazione di cercare di agire in modo migliore.
Secondo Leonardo Sciascia Don Abbondio rappresenta l’omertà del nostro paese, colui che non sceglie e si piega al più forte, che però, alla fine, alla sua età di sessant’anni, è sempre riuscito a farla franca. A quale costo però? Sempre costretto a dipendere dagli altri senza poter mai prendere una decisione in piena libertà.
Dunque, Don Abbondio è così incriminabile o è più giustificabile?
Dal mio punto di vista credo che Don Abbondio sia e sia destinato ad essere uno dei personaggi più discussi della letteratura italiana.
Sarebbe comodo giudicarlo, e come lo stesso Pirandello ci dice, desiderare un sacerdote eroe che con una parola prende coraggio e affronta la situazione. Mi aspetto allora che una risposta del genere mi venga formulata da Robin Hood, o da un qualche eroe mitologico come Perseo; ma noi, piccoli uomini, abbiamo le facoltà e il diritto di distruggere l’immagine che Manzoni ci propone?
Credo sia opinione comune che Don Abbondio non deve essere giustificato e definito come accettabile o comprensibile. Don Abbondio è il riflesso di una società sempre più arrogante, vissuta con omertà e sottomissione.
E noi? Che ruolo abbiamo in questa società? E che ruolo vogliamo avere? Da incurabile speranzosa affermo che qualche Perpetua, intenta a portarci sulla retta via, possa farci ragionare anche senza doverci sottoporre alla vista di un pugnale proprio come Renzo fece con il suo vero nemico.
Il vero antagonista di questa storia, non è quindi descrivibile con un nome, ma è rappresentato dalla visione d’insieme di ciò che ogni uomo spiana sul suo cammino. E la vera vittoria si trova nel renderci capaci di prendere una decisione, potendoci effettivamente dichiare liberi dalle oppressioni della società.
Il più grande difetto di questo personaggio, senza dubbio risultato della mancanza di coraggio, è la scelta di non scegliere, un male che non potrà mai portare al bene, e questo Manzoni ce lo fa capire bene fin da subito, giocando a carte scoperte già dall’inizio, ponendoci una domanda sottintesa: ma noi, di fronte a quella “y”, cosa avremmo fatto?