di Alessandro Vannucci
Oggi è stato l’ennesimo giorno di bombardamenti nella striscia di Gaza e nelle provincie contese tra Israele e la Palestina. Questo episodio non è altro che uno dei tanti di una guerra pluridecennale, iniziato dopo soltanto 3 giorni dalla proclamazione di Israele e tutt’ora senza fine, come la conta delle vittime.
Prima di analizzare i recenti scontri è giusto ripercorrere la storia di uno dei più sanguinosi conflitti.
Tutto iniziò il 29 Novembre del 1947, quando l’assemblea delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 181, con cui venne fondato lo stato d’ Israele, attraverso una ripartizione dei territori medio orientali sotto il controllo inglese.
Il 14 maggio del 1948 i rappresentanti degli ebrei già insediati nell’odierno stato d’Israele dichiararono l’indipendenza, lo stesso giorno centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a fuggire dalle loro abitazioni.
Il 15 maggio le truppe inglesi abbandonarono il territorio mentre gli eserciti egiziani, transgiordani, siriani e iracheni attraversavano la Palestina per attaccare le truppe ebree. Lo scontro si concluse con la vittoria israeliana, sancendo l’esistenza di un nuovo e autonomo stato, quello ebraico.
La vittoria portò, inoltre, alla diaspora di oltre 700 000 palestinesi nei campi profughi orientali, all’occupazione della striscia di Gaza da parte dell’Egitto e di Gerusalemme da parte della Transgiordania. Questi avvenimenti impedirono la formazione dello stato palestinese e di conseguenza il fallimento della risoluzione 181.
Successivamente hanno avuto luogo altri conflitti come la guerra dei sei giorni, nel 1967, conclusa con l’occupazione da parte di Israele della penisola del Sinai, della striscia di Gaza, di Gerusalemme est e delle alture del Golan.
L’occupazione militare portò ad una serie di rivolte palestinesi chiamate Prima Intifada durate sei anni (1987- 1993). Proteste placate dagli Accordi di Oslo, grazie ai quali veniva definita un’autorità palestinese con il compito di auto governare in modo limitato alcune parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
Il concordato non riuscì, sfortunatamente, ad evitare altri conflitti e proteste come la Seconda Intifada il 28 settembre del 2000, iniziata a Gerusalemme e poi degenerata in tutta la Palestina, conclusa nel 2005. Nello stesso periodo iniziava il piano di disimpegno unilaterale israeliano (agosto 2005), evacuando gli abitanti israeliani dalla striscia di Gaza e da quattro insediamenti in Cisgiordania.
Dopo il ritiro israeliano da questi territori Hamas prende il sopravvento sul suo rivale politico militare Fatah, ottenendo il controllo della striscia di Gaza.
Tutto ciò porta ad oggi, dove abbiamo uno dei più organizzati paesi al mondo contro una delle organizzazioni terroristiche più pericolose, capace di lanciare più di 4000 missili nell’arco di pochi giorni. D’altro canto Israele vanta il migliore sistema di difesa anti missilistico, Iron Dome, un esercito, servizi segreti tra i più efficienti al mondo e un arsenale atomico.
Il terzo protagonista di questo conflitto è l’organizzazione Al Fatah che controlla la Cisgiordania; quest’ultima è rivale sia di Israele che di Hamas, con il quale si è scontrata nel 2005 a seguito delle elezioni legislative. La guerra ha diviso la popolazione palestinese in due gruppi: quello residente nella Striscia, controllato da Hamas e l’altro cisgiordano governato da Fatah.
Attualmente il conflitto israelo-palestinese è ricominciato a causa di scontri avvenuti tra le truppe israeliane e i palestinesi che celebravano la fine del Ramadan. Gli avvenimenti sono accaduti simultaneamente alle celebrazioni per il Giorno di Gerusalemme, una ricorrenza in cui gli israeliani nazionalisti celebrano quella che chiamano la «riunificazione» di Gerusalemme durante la Guerra dei Sei Giorni: in altre parole, l’occupazione militare israeliana di territori che la comunità internazionale ritiene spettino ai palestinesi, vista da molti palestinesi come irrispettosa. Negli stessi giorni la Corte Suprema israeliana stava valutando un caso spinoso di sfratto di alcune famiglie palestinesi da abitazioni donate loro dalla Cisgiordania e dall’Onu nella zona est di Gerusalemme (Sheikh Jarrah).
Tutti questi episodi sono stati utilizzati da Hamas per infuocare la situazione e muovere i palestinesi contro Israele, sfruttando questo odio come giustificazione al lancio di missili nelle giornate successive.
Gli scontri sono parte di un conflitto interminabile, come abbiamo detto all’inizio; interminabile perché tutt’oggi servirebbe un impegno da entrambe le parti a sconfiggere il vero nemico, che non é Israele o la Palestina ma Hamas e i movimenti estremisti che vivono grazie all’esistenza di questo scontro.
La fine della guerra è voluta da entrambe le fazioni, perché non si può definire vita vivere in un campo profughi in un territorio lontano da casa e in condizioni pessime come moltissimi palestinesi e allo stesso modo non è giusto che un popolo intero come quello israeliano sia obbligato a vivere vicino a bunker per paura di bombardamenti; molti di loro hanno soltanto 15 secondi per scappare dai razzi e rifugiarsi in luoghi sicuri, una manciata di secondi da cui dipende la vita di milioni di persone.
Dopo queste considerazioni, torniamo ai movimenti estremisti. È opportuno sottolineare che non rappresentano nessun popolo e nessuno stato. Hamas non è il portavoce della Palestina e, per sottrarsi alla sua influenza, la comunità palestinese deve insorgere contro una dittatura militare religiosa che la sta condannando ad una vita priva di diritti e pace. Con l’aiuto della comunità internazionale, Israele incluso, bisogna costruire uno stato sovrano e democratico nel quale le persone possano vivere in libertà.