di Alessandro Rosati
Questo è un articolo scritto tanto pe’ scrive, insomma pe’ fa quarchecosa. Un po’ come tanti del resto. Capita di mettersi seduto alla scrivania, digitare velocemente sulla tastiera e d’improvviso sentire quell’impulso immediato e inarrestabile di voler dare un senso a quel fiume di parole che scorre impetuoso in testa. In mente, un motivo simpatico e orecchiabile. Recita più o meno così: “Tanto pe’ cantà, perché me sento un friccico ner core…”.
È una celebre canzone di Nino Manfredi (anche se originariamente fu composta dall’inarrivabile Ettore Petrolini), che ne fece un suo cavallo di battaglia, sempre che ne avesse bisogno. Perché, diciamocelo, Manfredi non ha forse la stessa gloria di altri attori del secolo scorso, eppure è stato eccezionale quanto e più di loro.
Facciamo però un passo indietro, chi era Nino Manfredi?
Ecco che il motivo di questo articolo prende forma. Si comincia a capire che non è scritto solo tanto pe’ scrive (parafrasando proprio Manfredi). Ve ne do atto. In occasione del centenario dalla sua nascita è quasi un obbligo commemorare quello che è stato uno degli artisti, e sottolineo artisti, più apprezzati della storia della cinematografia italiana. Se esistesse un ideale Olimpo degli attori, lui ci sarebbe sicuramente. Senza troppi proclami però, Manfredi è stato un attore, un regista, uno sceneggiatore, un cantante e altro ancora. In una sola parola: un artista del suo tempo. Un tempo che è diventato immortale: per sempre impresso nella pellicola. È per questo che oggi lo celebriamo. È per questo che io oggi sono qui a scrivere, a provare a riassumere in un articolo l’immensità di un singolo artista.
Classe 1921, nato in provincia di Frosinone, vicino Roma. Partiamo da qui: Nino Manfredi non era esattamente romano. Cosa importa, direte voi. È estremamente importante invece. In una stagione cinematografica dove la culla di tutti i più importanti attori era Roma, ha avuto la sfortuna (o la fortuna) di non nascervi proprio dentro, ma nemmeno troppo lontano.
Sfortunato certamente perché probabilmente non ha avuto la stessa considerazione di altri colleghi romani, ma fortunato perché proprio per questo motivo non fu vincolato alla straordinaria ma opprimente romanità. Detto in parole povere: non avere Roma nel sangue gli permetteva di svariare lungo il grande numero di parti che era in grado di fare. Praticamente tutte. Manfredi è stato amante, truffatore, emigrante, colonnello, Mastro Geppetto (è sua l’interpretazione del Pinocchio di Comencini del 1972). Ha recitato in ciociaro (dialetto del sud del Lazio), in romano, in toscano, in napoletano. E lo ha fatto sempre con un’assurda complessa semplicità. Talmente assurda da non trovare le parole per descriverlo e allo stesso tempo averne un fiume in piena. Vallo a capire il genio.
Recitare con genuinità, velato da un’ironia elegante e mai volgare era il suo credo, in netta contrapposizione ai suoi aspetti più riflessivi. Perché Manfredi faceva riflettere, eccome. Certe scene arrivano dirette come un pugno nello stomaco, perché sono vita. Sono la metafora della quotidianità, imprigionata per sempre negli attimi della pellicola. Personaggi semplici, già visti, ma allo stesso tempo mai banali, di cui era in grado di lasciar trasparire tutte le sfaccettature psicologiche. Li incarnava e li faceva suoi. Scavava nell’animo dello spettatore fino a trarre fuori dalla risata la riflessione profonda. Ridere e restare con l’amaro in bocca: un binomio che sempre caratterizza Nino Manfredi (almeno nella sua produzione sul grande schermo).
Riassumere in poche righe quello che Nino ha rappresentato per l’Italia è un’impresa pressoché impossibile. Dunque non ti offendere, Nino: è un pezzo scritto tanto per scrive, per far capire chi sei veramente. Molti oggi non lo sanno, perciò io sono qui. Conoscere Manfredi vuol dire essere consci del patrimonio artistico, culturale e cinematografico del nostro paese (e non solo). Tenetelo bene a mente, perché di Nino Manfredi purtroppo non ne nasceranno più.