di Rebecca Giusti
Sono solo io o le vicissitudini e gli aneddoti fondamentali dei membri della mia famiglia, riguardanti anche i personaggi più antipatici, noiosi e burberi che nella vita reale varrebbero la pena di essere classificati come ‘rompicoglioni’ (scusate il termine), ad assumere nei racconti un non so che di caratteristico ed estremamente interessante? Nelle saghe familiari le cose che ci succedono quotidianamente diventano all’improvviso eventi unici, rari ed irripetibili, ad esclusione de Il segreto: in quel caso credo che anche il regista abbia perso il filo dei milioni di intrighi amorosi che ci sono e gli alberi genealogici spropositati per ogni singolo personaggio.
In altre opere di questo tipo i personaggi sembrano nati per apparire in un best seller o divenire luoghi comuni in un futuro molto lontano (vedi il padre della protagonista in Lessico familiare di Natalia Ginzburg, che scanserei prontamente se mi capitasse di incontrarlo nella mia vita, con uno scatto veloce per correre subito a sparlare di lui con la prima amica che mi capita a tiro). In Cent’anni di solitudine, quegli strani individui abbastanza equivoci quasi innamorati dell’amore stesso, sono fiabeschi (sì lo so che è un romanzo nato puramente dalla fantasia dell’autore, ma lasciatemi finire la frase) ma anche se le loro avventure sono frutto della mente creativa di Marquez, risultano verosimili. Sono talmente diversi l’uno dall’altro che vorresti presentarti alla porta della loro casa con un taccuino e una faccia sognante per chiedere un autografo alla famiglia per intero: probabilmente dovresti vivere non so, circa cinquecento anni e possedere uno o due rotoli di carta Scottex a doppio strato per contenere tutte le firme, ma sarebbe possibile volendo. Nella vita reale sarebbero oggetto solo di chiacchiere da parte di anziane del paese che stanno tutto il giorno ad osservare le faccende altrui dalle loro finestrine coi gerani, mentre nel libro sembrano nati per essere descritti tra le pagine e studiati da studenti di letteratura sudamericana del ventunesimo secolo.
La nostra lavatrice era molto vecchia, partiva male e aveva sempre un po’ di polvere all’interno, ma tutti si ostinavano ad usarla anche come mobiletto all’interno del bagno per appoggiarci profumi prossimi alla scadenza, schiume da barba, bottiglie di acqua salina e occhiali (anch’essi non immuni alla polverizzazione dell’elettrodomestico e quindi leggermente rovinati). Era quasi un membro della famiglia in età adolescenziale: quando si metteva la centrifuga decideva di lavare i maglioni lasciandoli estremamente bagnati e pesanti quando si riapriva, con il mio successivo urlo: Mamma cosa hai fatto alla lavatrice! Ti ho detto un miliardo di volte di non toccarla! E seguitava la nostra lite sulle mie maglie da inverno presumibilmente rovinate per colpa sua anche se sapevamo bene entrambe che erano già infeltrite da passati lavaggi con quel furbo macchinario che sogghignava nel rovinare i nostri vestiti.
Oh mio dio, non ho davvero parlato di come funziona un elettrodomestico che abbiamo in casa da così tanto ed è assolutamente la cosa meno “romanzabile” (termine appena coniato dalla sottoscritta, ma dai, siamo in una saga familiare e possiedo una sorta di “licenza per racconti noiosi ma bellissimi scritti su carta” simile ad una licenza poetica, no?) di questa terra. Ormai l’ho fatto. Non so se questo breve trafiletto sulle nostre maglie sia romantico o semplicemente un timido e fallimentare tentativo di paragonare la mia routine a quella di altri. Forse volevo dimostrare che anche le storie brutte possono essere belle se raccontate in modo tale che non sembrino brutte ma belle. Sono brutte o belle?
Come dite che sto andando per ora? Sembra troppo una lista della spesa? Se solo Marquez avesse registrato un audiolibro o allegato un depliant alle sue opere su come scrivere un romanzo interessante come il suo senza copiarlo spudoratamente o delineare le forme di una famiglia troppo comune! Dite che se cerco su ebay lo trovo? Tenterò. In ogni caso ci tenevo a far sapere ai miei lettori che ho appena annunciato ai miei familiari (babbo, mamma e i nostri gatti) che scriverò prossimamente una saga familiare su di noi. Le reazioni sono state diverse a seconda del carattere dei protagonisti del mio prossimo pseudo-libro: babbo si è dimostrato molto impaziente di leggere la mia opera (nonostante l’avessi iniziata da circa un quarto d’ora e non sapessi neanche il titolo), i gatti sono rimasti in silenzio e quasi indifferenti alla loro comparsa in una storia che sarà disponibile in tutte le librerie (forse) e mamma ha urlato: è prontoooooo! Rebecca vieni a mangiare il carpaccio e ricominci a scrivere dopo! Spero che la saga familiare comune che farò risulti bella come quelle che ho citato nelle righe precedenti, ma mi rimane un’ultima domanda per Marquez, la Ginzburg o anche la nostra Isabel Allende se ci stanno ascoltando: non vi sembra di mettervi a nudo parlando del vostro essere e delle persone che hanno vissuto con voi o sono state create dalla vostra mente? È necessario indorare la pillola descrivendo solo le parti positive di coloro di cui scrivete o parlare della loro essenza più profonda (sempre che si sia colta)? Non si rischia di offenderli parlando dei difetti di poveri personaggi che non hanno colpe se non quella di essere stati descritti pieni di lati negativi? I vostri familiari, anche se cambiate il nome all’interno del racconto, non si offendono se dite che non sanno fare la lavatrice o elencate gli aspetti caratteriali di cui si vergognano?
Credo che sarà un mio problema del futuro, dato che posso definire questo scritto solo un’introduzione ad un libro mancato, non ancora scritto o un flusso di coscienza su come si scrivono libri. Spero che non vi siate annoiati sentendo raccontare la quotidianità perché a me piace moltissimo, la trovo magica e piena di segreti (almeno leggendo quello che scrivono gli altri). Se i miei parenti stanno leggendo tutto ciò, ciao ragazzi vi voglio bene, prometto di non raccontare ai miei di quando nonna Maria mi faceva fare quattro merende con tutto ciò che volevo e poi mi diceva di non dirlo a casa perché si sarebbero arrabbiati. Ops…
P.S. Vado a vedere se su Amazon vendono un manuale di scrittura creativa che parli di come copiare La casa degli spiriti senza sfociare in Beautiful. Si accettano comunque consigli su questo argomento anche del pubblico.