di Rugiada Menconi
Nella realtà sociale e culturale in cui viviamo oggi, è naturale ritenere che la donna e l’uomo siano uguali e che sia giusto che godano degli stessi diritti.
Oggi definiamo quei contesti in cui i due sessi non sono posti sullo stesso piano come “ingiusti”, “arretrati”, “barbari”, ma le discriminazioni sessiste sono ancora presenti nelle società, anche dei paesi più all’avanguardia come il nostro, e spesso i pensieri che le alimentano vengono tramandati inconsapevolmente.
Nel 1973 venne pubblicato un libro intitolato Dalla parte delle bambine, il cui obiettivo è quello di smascherare i pregiudizi che stanno alla base dell’educazione di bambini e bambine, limitando il loro pieno sviluppo e la loro realizzazione e costringendoli ad adeguarsi a dei determinati modelli stereotipati, in modo da risultare “nella norma”. L’autrice è Elena Gianini Belotti, insegnante per assistenti all’infanzia e direttrice, dal 1960 al 1980, del Centro nascite Montessori di Roma. Lei si pone, appunto, “dalla parte delle bambine”, perché è soprattutto l’educazione che viene loro imposta ad essere fortemente limitativa per lo sviluppo della personalità, perché prevede, come loro unica realizzazione possibile, quella di diventare delle donne mogli e madri, rinchiuse in casa a fare le faccende domestiche e a badare ai figli, attività per cui sono “naturalmente” predisposte.
La Belotti dimostra che l’esistenza di fattori “innati”, che differenziano le attitudini e i comportamenti maschili da quelli femminili, non è dovuta alla biologia dell’individuo, ma ai condizionamenti sociali e culturali a cui è soggetto sin da piccolo. Per esempio confuta l’idea che le bambine abbiano un naturale senso della maternità, raccontando di un bambino a cui dette una bambola che la cullò così come aveva visto fare dalla mamma. Il bambino, ovviamente, venne subito corretto dalla madre, che gli tolse la bambola. Con una bambina, al contrario, la stessa azione sarebbe stata incoraggiata.
Ciò che potrebbe porre fine a questa differenziazione, secondo l’autrice, non è eguagliare l’educazione femminile a quella maschile, ma permettere a ogni individuo di svilupparsi nella maniera che più gli è connaturale, seguendo i propri gusti e istinti.
Molte delle mancanze che la Belotti denuncia, fortunatamente, sono ormai superate, perché in effetti il libro risale a mezzo secolo fa, ma all’epoca rappresentò un duro colpo per il patriarcato e permise a molte donne di prendere coscienza della condizione in cui erano costrette a stare, ormai persuase della loro “naturale” inferiorità.
Ci sono ancora alcuni pregiudizi che continuano ad essere tramandati. Per esempio pensiamo che la bellezza sia componente fondamentale del valore di una donna, quindi una donna il cui aspetto non rientra nei canoni di bellezza che riteniamo giusti, o che non si cura troppo dell’estetica non viene mai presa troppo in considerazione. Come dice la Belotti, il culto della bellezza viene inculcato nelle menti delle bambine, che, già da piccole, vengono incoraggiate a pettinarsi e a contemplarsi allo specchio.
Il valore di una donna, così come di qualsiasi altro essere umano, dipende dall’intelligenza, dallo spirito, dall’impegno, dai valori in cui crede, non solamente dalla bellezza.
Che questo sia un problema ancora attuale è dimostrato da questa foto, che ho trovato sulla pagina Facebook “Ipazia liberedonne”, un’associazione femminista nata nel 2019, così chiamata in onore di Ipazia, la famosa scienziata e filosofa greca dell’antichità.
Quello fotografato è l’esercizio di un libro di grammatica per le medie, attualissimo, perché l’edizione è del 2020, che riporta queste frasi: “Lucia è troppo grassa per indossare una minigonna” e “Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo”.
Leggi tutto “Il pensiero femminile e la nascita del femminismo”