Uniti si può fare di più

di Rebecca Serra

 Sono sempre stata una ragazza emotiva, forse fin troppo, e proprio per questo ho deciso di esprimere una mia opinione su quello che sta succedendo intorno a noi ormai da quasi due mesi. Non saprei sinceramente neanche da dove cominciare, poiché da quando questo inferno è iniziato mi trovo disorientata e penso che a diciassette anni un’esperienza del genere non possa far altro che segnarti la vita. Non possiamo uscire di casa, incontrarci con i nostri amici e avere con loro le solite “avventure”, certe volte anche poco coscienziose, che segnano questa età; ma soprattutto questa terribile pandemia ci ha privato della nostra quotidianità, che fino ad ora davamo per scontata.

   È possibile, secondo me, trovare anche un lato positivo in questo inferno, visto che purtroppo molte volte solo grazie a episodi così tragici una persona riesce veramente ad aprire gli occhi, sia su se stessa che sul mondo che lo circonda. Viviamo costantemente nella paura di essere stati infettati o di poter essere contagiati da un momento all’altro, appena mettiamo piede fuori da casa, e in momenti come questo la priorità va a noi stessi, ma anche alle altre persone alle quali abbiamo sempre paura di poter far del male senza volerlo, e devo dire che, soprattutto per persone sensibili ed empatiche come me, forse questa è la sensazione peggiore di tutte.

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L’insostenibile leggerezza di Botero

di Francesco Bertoli

   Sculture giganti e dipinti di donne e monsignori, dalle forme rotonde e sinuose, che si muovono in un universo colorato, quello di Fernando Botero, queste poche parole bastano per descrivere le opere principali dell’artista, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

   Il 20 Gennaio è uscito al cinema “Botero-una ricerca senza fine”, diretto dal regista canadese Don Millar, un film-documentario, ritratto di un pittore monumentale, creativo instancabile, che innamorato dell’Italia è stato influenzato da Piero della Francesca e dalla pittura rinascimentale.

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L’ultimo triste caso di una lunga serie

di Alessandro Rosati

Se mai vi capitasse, come sicuramente vi è capitato, di passare per uno dei tanti spelacchiati campi di calcio in giro per l’Italia, avvertireste quel leggero senso di abbandono che li avvolge. Talvolta è un’apparenza: i centri sportivi si riempiono di vita quando l’arbitro fischia il calcio di inizio e un paese, una città, una provincia intera vivono per 90 minuti di quel magico oggetto rotondo. Talvolta però non è un’apparenza, è la triste realtà. Lontano dai milioni di quello che usano chiamare “il calcio che conta”, le società falliscono, gli spogliatoi si svuotano, i sogni si infrangono e la magia…finisce. 

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Covid 19. Il virus della nostra immagine

di Margherita Azzi

   Da sempre siamo il paese in cui ogni turista da ogni angolo del Mondo vuole andare. Da sempre creiamo prodotti che tutti i ci invidiano e ci comprano, volentieri. Moda, città d’arte, alimenti, automobili e altre mille eccellenze hanno brillato nell’immaginario collettivo di chiunque.

   Poi guardo le notizie e realizzo che tutto ciò sembra sia scomparso nel giro di una settimana, un battito di ciglia. Ristoranti, musei, bar di città affogati da visitatori improvvisamente vuoti. Italiani respinti negli aeroporti e merci mandate indietro. Italiani all’estero a cui si fanno sempre le stesse domande: “ti senti bene? Sei tornato in Italia da poco?”. Domande scherzose, fino ad un certo punto. Ma questo passi. I problemi seri riguardano la nostra immagine nel mondo, notoriamente il nostro cavallo di battaglia che garantisce un grande export di qualità e una enorme capacità turistica, settori letteralmente motore della nostra economia. Due immagini colpiscono particolarmente: la fila dei Musei Vaticani praticamente inesistente e la notizia della Cnn che ci dipinge come gli untori occidentali.

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